La pasta è sempre il piatto più amato dagli italiani

Leggevo qualche giorno fa un articolo interessante su Avvenire, che parlava della pasta e che partiva da un assunto che magari potrebbe sembrare banale: gli italiani sono “pasta dipendenti”, visto che, secondo quanto riportato, il 99% dei nostri connazionali ne mangia un buon piatto addirittura 5 volte la settimana.
Una terra che ha quindi un legame così importante con un alimento, non può non guardare con estremo interesse alle innovazioni che possono riguardarlo, e infatti secondo una stima dell’Associazione industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi), i pastai nostrani investono in ricerca e sviluppo circa 500 milioni di euro l’anno, il 10% del fatturato del settore, per migliorare la qualità, guardando alla pasta del futuro. Una spinta che arriva anche dai consumatori, poiché uno su due si dice interessato a nuovi ingredienti, prodotti e tipi di pasta. Nell’ultimo anno, infatti, è cresciuto del 12% il consumo di paste speciali come quelle bio, senza glutine, integrali, kamut, farro, con spezie e legumi, con punte di incremento del 18% nel caso della pasta integrale. Ma non solo: solo dieci anni fa erano presenti 300 formati, oggi si superano i 500, nell’ottica sempre più raffinata di una ricerca nell’abbinamento ideale. Ma ricerca ed innovazione passano anche attraverso nuovi modelli di essicazione e nuove tecniche di imballaggio, fasi delicate che hanno notevolmente alzato la soglia di attenzione per una migliore qualità.
Importante, però, per le aziende italiane anche guardare al resto del mondo: da noi infatti vengono prodotte 3,4 milioni di tonnellate di pasta, il 43% in più di 50 anni fa, e ne esportiamo circa due milioni. E per rispondere alla domanda globale mantenendo l’eccellenza del prodotto made in Italy, sono stati realizzati impianti sofisticati, che possono impastare e trafilare fino a 7mila kg/ora di pasta, con processi di essiccazione personalizzati per ogni formato – perché un rigatone si ‘comporta’ in modo diverso da uno spaghetto. Si tratta di un’innovazione di processo che non è percepibile nel piatto ma che porta a migliore efficienza, risparmio energetico, sostenibilità, sistemi di stoccaggio e operazioni di decorticazione e macinazione meccanizzati, analisi in tempo reale, dal chicco alla semola, al formato dei fenomeni chimicofisici ed enzimatici della materia prima nel suo percorso, sistemi di controllo qualitativo-batteriologico e di sicurezza alimentare.