IL PRANZO DELLA DOMENICA: L’Istituto Vavilov e la conservazione della biodiversità
Ieri nell’ambito della dodicesima edizione di Terra Madre Salone del Gusto, che si sta svolgendo in questi giorni a Torino e che rappresenta uno dei più grandi eventi mondiali dedicati al cibo, si è svolto un forum dal titolo “Banche, biblioteche e granai: dove si conservano i semi”, all’interno del quale è intervenuta, tra gli altri, Snezhana Miftakhova dell’Istituto Vavilov, la cui storia mi è sembrata particolarmente interessante e che quindi oggi vorrei riproporvi.
Iniziamo con il dire che l’Istituto Vavilov si trova a San Pietroburgo e ad oggi conserva circa 350mila specie di semi, il 30% circa dei quali oggi sono estinti in natura, ma rappresentano ancora una importantissima risorsa per l’agricoltura. Deve il suo nome all’agronomo e botanico Nikolai Vavilov, il quale tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso condusse circa 180 spedizioni in 65 Paesi del mondo per identificare le regioni geografiche in cui le diverse colture si sono sviluppate e diversificate originariamente. Questa sua teoria sui centri di origine delle piante coltivate è il motivo per cui è ancora ricordato ai giorni nostri, ma Vavilov ebbe anche l’idea, una volta portati a termine i suoi studi, di preservare questo patrimonio di biodiversità conservando gli esemplari raccolti in un sito di stoccaggio. Nacque così l’istituto che ancora oggi porta il suo nome e che a tutti gli effetti è stato la prima banca dei semi di tutto il mondo.
La storia dell’Istituto Vavilov e del suo ideatore e fondatore non è stata però sempre facile. L’inverno a cavallo fra il 1941 e il 1942 fu infatti molto rigido in Russia, con temperature che scesero anche 40° sottozero. San Pietroburgo, allora ancora Leningrado, stava inoltre vivendo l’assedio dei nazisti e la combinazione di questi due eventi determinò un rapido esaurimento del cibo a disposizione della popolazione. I cittadini, allora, si diressero verso l’Istituto Vavilov per prendere i semi e i tuberi che erano lì conservati, ma gli scienziati che vi lavoravano si trasferirono a vivere all’interno dell’Istituto per proteggere la preziosa collezione e fare in modo che non venisse depredata. Molti di loro morirono di fame senza osare toccare uno solo di quei semi e in questo modo, quando l’assedio terminò nel 1944, il contenuto dell’Istituto fu salvo. Nikolai Vavilov non poté però assistere o partecipare a questa eroica impresa dei suoi colleghi scienziati. Nel 1940, infatti, Stalin lo aveva fatto imprigionare perché le sue teorie contrastavano quelle di uno pseudo-scienziato sostenuto dal regime e nel 1943 morì di stenti in carcere.
Al termine dello stalinismo, però, la sua figura fu riabilitata agli occhi dell’opinione pubblica e oggi, grazie alla sua geniale intuizione altre banche di semi sono state aperte in tutto il mondo. L’Istituto Vavilov contribuisce ancora oggi in maniera determinante a studiare e preservare la biodiversità e ad affrontare sfide importanti come quella del futuro dell’alimentazione e del cambiamento climatico. Un contributo che sarebbe stato impossibile senza la genialità del suo fondatore e il sacrificio degli scienziati che vi lavoravano agli inizi degli anni ’40.