Il lungo viaggio attraverso la storia della frutta che abbiamo oggi in tavola
Ho trovato un articolo molto bello e interessante su La Repubblica, nel quale si parlava della Via della Seta e dell’importanza che questa ha avuto anche per il commercio della frutta nel corso dei secoli e per la diffusione delle diverse varietà in tutto il mondo.
Mi ha fatto riflettere sul fatto che spesso siamo così abituati ad avere tutto a disposizione che non ci chiediamo più come ha fatto un determinato prodotto ad essere arrivato sulla nostra tavola. Certo, oggi è tutto molto più semplice, ma nel corso del tempo non lo è stato affatto ed è quindi molto interessante andare a ricercare l’origine di prodotti che sono alla base della nostra alimentazione odierna, ma che per arrivare a farne parte hanno dovuto compiere un lunghissimo viaggio, non soltanto in senso figurato.
L’approfondimento alla base dell’articolo parte dal progetto “Frutti della Via della Seta”, realizzato dal Max Planck Institute tedesco, con l’Università di Washington e l’Istituto Archeologico di Tashkent e sfociato in una pubblicazione su Plos One e in un libro di prossima uscita dal titolo “Fruits from the Sands”. Vengono riportate le parole di Spengler, direttore del laboratorio di paleobotanica del Max Planck, il quale ci ricorda come «le montagne dell’Asia interna sono molto ricche dal punto di vista ecologico. Da lì si sono irradiate molte delle piante coltivate negli ultimi 5mila anni, che oggi arricchiscono di ingredienti le cucine europee». Lo studio “Frutti della Via della Seta”, come si legge sempre nell’articolo, si basa infatti sullo scavo di una discarica vicina al mercato centrale di Tashbulak, fra i monti dell’Uzbekistan orientale, durante il quale sono stati ritrovati dei semi carbonizzati risalenti a circa 1000 anni fa che non potevano però essere cresciuti lì, a 2.100 metri sul livello del mare. Fra questi semi, ce ne sono di uva, meloni, grano, orzo, piselli, ceci, albicocche, pesche, mele, capperi, ciliegie, pistacchi e noci, che, quindi, erano stati portati fin lì dai mercanti, dopo essere stati coltivati o raccolti da piante selvatiche nelle valli sottostanti, dove il clima è più mite e favorevole.
Questo dimostra come il passaggio di frutta dall’Oriente all’Occidente, e viceversa, fosse una pratica molto diffusa, tanto da generare anche la nascita di nuove varietà di frutti. Prendendo come esempio la mela, originaria a seconda della varietà della Cina o del Kazakhistan, il suo viaggiare avanti e indietro le ha permesso di scambiare i pollini con le varietà locali, arrivando ad avere le circa 7.500 cultivar esistenti oggi.
Lo stesso possiamo dire per le pesche, arrivate in Italia in età augustea passando per l’Iran, come si può capire da raffigurazioni di età imperiale, oppure per i meloni, arrivati qui da noi dopo essere stati coltivati in India e in Africa. Insomma, se oggi possiamo scegliere quale tipo di frutta mangiare fra le tante decine che abbiamo a disposizione, non è soltanto merito di chi le coltiva, ma di chi, in passato, ha fatto in modo che potessero viaggiare da una parte all’altra del mondo, anche per decine di migliaia di chilometri.