IL PRANZO DELLA DOMENICA: Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche. A due anni dal sisma le regioni provano a ripartire dai prodotti tipici del territorio
Appena due giorni fa abbiamo ricordato il triste anniversario del terremoto che nel 2016 ha colpito il Centro Italia, tornando poi a martoriarlo con altre importanti repliche il 26 ottobre e il 30 ottobre dello stesso anno, e anche il 18 gennaio del 2017.
Una vera tragedia, che ha coinvolto quattro regioni (Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche), ha lasciato dietro di sé centinaia di morti, migliaia di sfollati e distrutto il patrimonio artistico di tantissimi paesi (Norcia, forse, l’esempio più emblematico in questo senso).
Ma dei danni gravissimi il terremoto li ha fatti anche all’agricoltura di tutto il Centro Italia, togliendo una delle principali risorse per provare a far ripartire l’economia della zona. Ci sono state iniziative in questi due anni che hanno cercato di favore la ripresa di questo settore, e molti sono stati gli appelli ad acquistare prodotti tipici locali, per permettere ai coltivatori, ai produttori e a tutta la popolazione di risollevarsi.
In questo appuntamento con “Il pranzo della domenica”, quindi, ho scelto di accorpare queste quattro regioni segnalando per ognuna uno dei prodotti agroalimentari tipici delle zone colpite dal sisma.
Iniziamo dall’Umbria, dove non possiamo non citare le famosissime lenticchie di Castelluccio. Un legume dalla storia antichissima, coltivato da sempre sui piani carsici all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, ad un’altezza di circa 1.500 metri. Questo tipo di lenticchia è l’unico legume che non necessità un trattamento per la conservazione, poiché le rigide condizioni climatiche in cui cresce lo rendono immune dall’attacco del tonchio, un insetto le cui larve si nutrono si legumi. Possiede, inoltre, notevoli qualità nutritive, poiché è ricco di vitamine, proteine, sali minerali e fibre, nonché pochissimi grassi. È infine molto agevole da cucinare, poiché la sua buccia sottile ne consente direttamente la cottura, senza ammollo, riducendo quindi i tempi di preparazione.
Rimanendo nell’ambito dei legumi, ci spostiamo nel Lazio, precisamente nella provincia di Rieti, dove viene prodotto il Fagiolo Borbontino, che prende il nome dalla zona del comune di Borbona dove nasce. Caratteristica è la sua buccia molto sottile, che lo rende digeribile e delicato. Gli agricoltori della zona lo producono seguendo ancora metodi molto antichi, che non prevedono l’utilizzo di mezzi meccanici e concimi. La sua qualità è garantita da una coltivazione in terreni piani, a circa 750m sul livello del mare, dove nascono piante che possono crescere fino a 2m da terra e presentare bellissimi baccelli con screziature rosse, le stesse che ritroviamo anche sul fagiolo stesso. Questi fagioli vengono seminati alla fine di maggio e raccolti nel mese di ottobre, per un totale, in media, di circa 15 quintali a stagione. Vengono poi mantenuti i semi per l’anno successivo, così da assicurare la continuità della varietà nel tempo.
In Abruzzo, troviamo invece lo zafferano dell’Aquila, marchio DOP che viene prodotto in una ristretta parte di territorio che comprende i comuni di Barisciano, Caporciano, Fagnano alto, Fontecchio, L’Aquila, Molina Aterno, Navelli, Poggio Picenze, Prata d’Ansidonia, San Demetrio nei Vestini, S. Pio delle Camere, Tione degli Abruzzi e Villa S.Angelo. Conosciuto da millenni (Omero, Virgilio e Plinio ne parlano spesso nelle loro opere e Ovidio lo cita nelle Metamorfosi), il particolare aroma di questo zafferano lo ha reso uno dei prodotti simbolici della regione e uno di quelli con il maggior successo anche all’estero. Richiede un’importante lavoro di produzione e lavorazione, se pensiamo che la raccolta dei fiori da cui viene estratto avviene in 15 o 20 giorni nel mese di ottobre e che per produrre un Kg. di zafferano secco occorrono circa 200.000 fiori e sulle 500 ore di lavoro.
Infine, arriviamo nelle Marche, dove nella Comunità montana dei Sibillini, che ha sede a Comunanza in provincia di Ascoli Piceno, vengono prodotte le mele dei monti Sibillini, anche queste conosciute e amate fin dall’Antica Roma, tanto che Orazio le nomina nelle sue satire. Oggi, sono un Presidio Slow Food, coltivato tra i 450 e i 900 metri di altitudine. Ne esistono otto ecotipi, appartenenti a tre gruppi che si diversificano per colore di fondo, sovracolore e consistenza del frutto. Il primo tipo è verde con striature rosa o giallo aranciato e presenta una polpa soda e croccante; il secondo tipo è invece giallo con sovracolore rosso e una polpa molto tenera; il terzo presenta invece delle mele verdi con striature rosse e una polpa soda. Tutte, però, condividono un sapore acidulo e zuccherino e un profumo intenso e aromatico che le rende una vera specialità.
Se avete intenzione di acquistare uno di questi prodotti, sappiate che non state portando a casa solamente un’eccellenza dell’agroalimentare italiano, ma state anche dando una mano a una zona e una popolazione che hanno sofferto molto e che hanno bisogno dell’aiuto di tutti per risollevarsi.