IL PRANZO DELLA DOMENICA: Consegne a domicilio, non è sempre tutto oro ciò che luccica

Published by Fabio Massimo Pallottini on

È di pochi giorni fa la notizia, arrivata da Milano, di un ragazzo di 28 anni che ha subìto l’amputazione di una gamba in seguito a un incidente con un tram mentre stava lavorando con la sua bicicletta per una di queste nuove realtà di consegne a domicilio che stanno prendendo sempre più piede e che sono frutto della cosiddetta “new economy”.

Si tratta di una notizia di cronaca davvero terribile, che mi ha suscitato una riflessione che portavo con me da tempo e che vorrei oggi condividere con voi, circa questo fenomeno in grande crescita che vede sempre più persone acquistare comodamente da casa il pasto desiderato per poi attenderne la consegna. È ovviamente un fatto del tutto normale, che però non riesco a non vedere velato da una certa ipocrisia, poiché i fruitori di questi servizi siamo ormai tutti noi, senza distinzioni di nessun tipo, e lo facciamo solamente per comodità, per moda o per il piacere di provare certi gusti, senza però porci il problema di capire come mai questo tipo di servizio a un costo così basso è possibile.

La risposta, una volta che ci poniamo la domanda, è semplice: è possibile perché le persone che fanno queste consegne (ragazzi che non riescono a trovare un altro lavoro, ma anche persone più grandi che hanno perso il proprio impiego e non riescono a ricollocarsi) sono sottopagate ai limiti dello sfruttamento, se non oltre. Recentemente si è parlato di questo anche a seguito di una sentenza di Torino, per la quale a questi lavoratori non è stato riconosciuto lo status di dipendenti ma di autonomi ed è stata legittimata per loro una paga oraria veramente vergognosa. Se poi a queste condizioni aggiungiamo anche i rischi che le consegne in bicicletta comportano, come abbiamo visto nel caso di Milano, la mia considerazione non può che peggiorare.

Mi fa pensare al mondo che oggi si muove intorno al cibo, alle novità, le trasmissioni, gli articolo. Tutte cose belle, che hanno acceso su questo tema moltissimi fari e che hanno fatto avvicinare alla cultura del buon cibo molte persone, ma che poi si portano dietro conseguenze come quella che stiamo vedendo. Siamo ormai diventati (tutti, me compreso) così abituati a questo tipo di servizi che non ci interroghiamo più, come detto prima, su ciò che rende possibile la sussistenza di questo sistema. Vale lo stesso, per esempio, quando magnifichiamo il servizio di Amazon, dietro il quale poi scopriamo che ci sono macchine di sfruttamento e di svilimento di chi ci lavora, che francamente dovrebbero farci pensare. 

Poniamoci la domanda: qual è il prezzo di mangiare il sushi che ci viene consegnato a casa in bicicletta? Vale la pena soprassedere sulle risposte, invece di uscire e andarselo a comprare o, meglio ancora, andare a mangiarlo in un ristorante? Tutto questo non per essere bacchettoni, ma solamente per fermarci un attimo, contare fino a 3, e considerare se il successo di certi fenomeni, soprattutto quanto tutto ci appare fantastico, non nasconda in realtà zone quantomeno grigie, se non nere, che meritano di essere svelate. 


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