IL PRANZO DELLA DOMENICA: E se un giorno ci ritrovassimo a mangiare su Marte?
Qualche settimana fa su questo blog avevamo parlato di come gli astronauti si nutrano nello spazio e in quell’occasione vi avevo accennato a un workshop che si sarebbe tenuto a Roma su queste tematiche. Si tratta di “Current and future ways to Closed Life Support Systems”, che è stato organizzato presso la sede centrale del Consiglio Nazionale delle Ricerche dal 16 al 18 maggio, in maniera congiunta da AgroSpace, una conferenza biennale di rilievo internazionale nata dall’intuizione dell’azienda laziale Arescosmo, e dal programma MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative) dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea.
Poiché ritengo che quanto verrà trattato in queste giornate sia di estremo interesse, ho pensato di approfondire un po’ la questione, grazie ad Alberto Battistelli, primo ricercatore dell’IBAF (Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale) – CNR, del quale vi riporto le parole:
“Sia AgroSpace che MELiSSA si occupano del sostegno alla vita degli astronauti nello spazio. Lo spazio è un ambiente inospitale per la vita, quindi per creare le condizioni affinché l’uomo vi si possa stabilire, è necessario avere sistemi che permettano il completo controllo delle condizioni ambientali negli ambienti abitati. Questo significa rivitalizzare l’atmosfera, per avere adeguate pressioni parziali di ossigeno e anidride carbonica, proteggere dalle radiazioni, avere cibo e acqua disponibili… e possibilmente anche un ambiente gradevole in cui vivere, importante quando l’isolamento è estremo in un luogo così remoto e stressante. In parte questo si realizza già da 18 anni sulla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale che orbita intorno alla Terra con personale a bordo. Qui ci sono tutti i sistemi che garantiscono la vita degli astronauti, e tra questi ce ne sono che permettono di riciclare l’acqua e l’ossigeno. Tutto il resto però, incluso il cibo, viene portato da qui, con viaggi cargo che fanno la spola tra Terra e ISS. Quando faremo, però, viaggi molto lungi (per arrivare su Marte, impiegheremo dai 3 ai 6 mesi), o quando vorremo vivere permanentemente sul Pianeta Rosso, non potremo più avere viaggi cargo per le risorse. Questi sistemi di sostegno alla vita nello spazio dovranno essere rigenerativi, si dovrà aumentare di molto la capacità di rigenerare le risorse degli astronauti, quindi anche tutto quello che riguarda l’atmosfera e il cibo”.
“Sulla Terra noi viviamo perché l’energia che arriva dal Sole viene utilizzata dalla fotosintesi delle piante, che fissa la CO2 in composti organici, produce ossigeno e permette a queste di vivere e di crescere. Le piante producono quindi una serie innumerevole di sostanze chimiche delle quali noi e gli animali ci nutriamo. Senza fotosintesi non ci sarebbe l’ossigeno che respiriamo, tanta dell’acqua che beviamo, e soprattutto il cibo che nutre noi direttamente e gli animali dei quali ci nutriamo. Le piante, quindi, contribuiscono in modo fondamentale alla vita sulla Terra e per questo stiamo studiando come utilizzarle nello spazio per rigenerare l’atmosfera, fissando CO2 e producendo ossigeno, per purificare l’acqua e produrre cibo. Sia AgroSpace che MELiSSA, si occupano di questi aspetti, cercando quindi di creare un piccolo microcosmo, in ambiente chiuso, in grado di riprodurre quanto, su scala maggiore, avviene sulla Terra, controllando quindi tutti i parametri ambientali. Grazie a queste ricerche siamo arrivati ad avere dei sistemi automatizzati, molto efficienti, che ci permettono anche di regolare il metabolismo delle piante in modo da far loro produrre alimenti buoni e nutrienti. È un livello di tecnologia elevatissimo che ci permette di controllare la produzione e avere il massimo dal punto di vista quantitativo e qualitativo, in termini nutrizionali. Logicamente, gli studi condotti in questo senso non sono applicabili solamente nello spazio, ma anche sulla Terra. È per questo che uno dei focus del workshop sarà proprio su come sfruttare già oggi, sul nostro pianeta, le tecnologie e i risultati raggiunti con questi progetti. Per fare un esempio, in questo momento è attivo un progetto europeo finanziato dalla Commissione UE nell’ambito di H2020, chiamato Eden ISS, che ha costruito una struttura che produce ortaggi in Antartide, scelto come analogo spaziale per isolamento ambiente ostile e alti standard di sicurezza ambientale, in modo quasi totalmente automatizzato e in una struttura completamente isolata dall’ambiente esterno. In strutture come questa, una coltura di pomodoro produce il doppio di quanto produce nella migliore serra terrestre, che non può raggiungere lo stesso livello di controllo ambientale. In più, lo spreco di risorse è quasi nullo, non si possono produrre rifiuti, tutto deve essere recuperato, trattato e diventare risorsa. L’acqua, per fare un esempio, viene completamente riciclata. È un grande risultato, se consideriamo che il 70-80% di tutta l’acqua che sulla Terra viene utilizzata per fini umani è usata per l’agricoltura, che da questo punto di vista non è molto efficiente. In queste strutture, invece, viene ricondensata tutta l’acqua che le piante traspirano, e che normalmente finisce nell’atmosfera, che è quindi riutilizzata per l’irrigazione. L’unica acqua che risulta consumata, è quella contenuta nei prodotti che vengono raccolti e mangiati dal personale della bassa Neumayer III, una ciurma di una decina di persone che vivono isolate per tutti i lunghi mesi dell’inverno antartico. La conseguenza di ciò, è che queste colture sono possibili in qualsiasi condizione climatica, in Antartide, come nel caso che abbiamo visto, ma anche in aree desertiche o inquinate. Si tratta di un risultato importante per il nostro futuro, perché la popolazione mondiale cresce e con essa crescono le esigenze alimentari e quindi dobbiamo essere sempre più efficienti, visto che difficilmente crescerà la superficie agricola del pianeta. Inoltre, il passo avanti è concreto anche dal punto di vista della qualità. Controllando tutti i fattori ambientali, agendo sulla temperatura, sulla luce e sulla concentrazione di CO2 ad esempio, possiamo modulare la quantità di acido ascorbico (vitamina C) presente negli spinaci. Possiamo insomma agire sulla composizione del prodotto in modo naturale, perché non usiamo sostanze chimiche per forzare le piante, ma agiamo sui fattori ambientali che condizionano naturalmente la loro vita e così facendo possiamo ottenere cibi arricchiti in vitamine, antiossidanti, ecc… Entro certi termini, insomma, siamo in grado di ottenere cibo altamente nutritivo, in alcuni casi più dei migliori prodotti disponibili sul mercato. Essendo in ambiente controllato, inoltre, puntiamo ad escludere totalmente i patogeni, allontanando gli insetti, vettori di virus e batteri, e ad avere colture che non richiedano trattamenti antiparassitari. La normativa Europea non consente di indicare questi prodotti come biologici, ma sono senza dubbio cibi altamente funzionali. Certo, al momento queste tecnologie sono molto costose e usano molta energia che deve essere rinnovabile se vogliamo che questi sistemi siano congrui con l’obiettivo della sostenibilità ambientale. Se ottengo l’energia necessaria al funzionamento di queste tecnologie da fonti convenzionali come petrolio o carbone, opero in modo non sostenibile, se invece uso energia solare, idroelettrica, eolica sono sostenibile dal punto di vista ambientale e quindi posso dare un’impronta ambientale positiva alla produzione di cibo in qualunque condizione”.
Ascoltare queste riflessioni è stato per me di grande interesse, ma mi ha anche fatto sorgere una domanda: quanto siamo lontani dall’obiettivo di creare queste condizioni per vivere su Marte o sulla Luna?
“Non è semplice rispondere – mi ha fatto presente il dott. Battistelli – perché dipende da molti fattori, primo fra tutti, logicamente, è la disponibilità delle risorse economiche. Servono molti soldi per sviluppare questi progetti, che in genere sono ben spesi perché le ricadute sono quasi sempre superiori, ma che sono comunque molti. E poi ci vuole una intensa collaborazione internazionale, perché nessuno stato singolo riuscirà da solo a far partire una propria missione su Marte per stabilire una base. Infine, è fondamentale la rapidità di avanzamento della tecnologia, e gli sviluppi in questo campo possono ridurre di molto i tempi di realizzazione delle missioni umane fuori dalla bassa orbita terrestre. Diciamo che dal punto di vista della pianificazione e delle prospettive si ritiene che una missione umana su Marte ci sarà fra il 2030 e il 2040. Ultimamente, poi, sono entrati in questo settore anche i privati, che hanno “tempi di reazione” minori (e forse minori livelli di sicurezza) ma anche risorse più abbondanti. Se i privati continueranno a investire su questo tema i tempi potrebbero accelerare”.
Se, come me, avete voglia di approfondire ancora questi discorsi, l’appuntamento è al CNR dal 16 al 18 maggio per il Convegno di AgroSpace e MELiSSA.