Per il 2771° Natale di Roma un po’ di storia della cucina capitolina
Domani sarà il Natale di Roma, il giorno in cui si festeggia la fondazione della città, avvenuta il 21 aprile del 753 a.C., e poiché sono molto legato alle mie origini romane, desidero celebrare questa giornata, parlando insieme a voi della grande tradizione della cucina capitolina.
Sappiamo che già gli antichi romani avevano una certa passione e per il cibo e che le loro giornate erano scandite, più o meno come oggi, da tre pasti, due piuttosto brevi, la colazione (ientaculum) e il pranzo (prandium), e uno principale, la cena (coena), che iniziava verso le 16, veniva consumata nel triclinum (dove i commensali potevano mangiare sdraiati su un fianco) e che, nelle occasioni particolari e specialmente tra i nobili, poteva durare anche fino all’alba del giorno successivo. I cibi che venivano consumati erano di tutti i tipi: dalla carne (di maiale, vitello, pollo, lepre e anche di molti volatili) al pesce (ostriche, aragoste, murene), dalla selvaggina a diversi tipi di frutta e verdura. Il tutto accompagnato dal vino, molto spesso mescolato con il miele, e dal pane, realizzato in tempi più antichi con il farro e poi con il grano.
Molte di queste notizie ci arrivano logicamente dalla letteratura latina, e fra i testi più importanti c’è sicuramente il De agri cultura di Marco Porcio Catone il Censore, un manuale di tecnica agricola, suddiviso in 162 capitoli, nel quale l’autore evidenzia come l’attività agricola, per il suo valore morale, sia migliore di altri lavori che portano guadagno, come l’usura o il commercio, e come da questa derivino ricavi onesti e sicuri. Si parla quindi dei contadini come unici buoni cittadini, dai quali nascono gli uomini più temprati e i soldati più valorosi. Altro testo molto importante è il De re rustica, di Marco Terenzio Varrone, il quale, nel periodo della crisi agricola post guerra civile, scrisse quest’opera didascalica nella quale spiega come ottenere il massimo dai campi coltivati. Ma dall’antica Roma ci è arrivato anche un altro testo, un vero e proprio ricettario attribuito a Marco Gavio Apicio, che nel I sec. d.C. fu davvero gastronomo e cuoco, menzionato sia da Seneca che da Plinio, ma che probabilmente non scrisse direttamente l’opera. Si tratta del De re coquinaria, che in 10 libri riporta molte delle ricette e dei segreti di Apicio sulla preparazione e la conservazione di carni, ortaggi, vini e così via.
Anche nei secoli successivi alla caduta dell’Impero, la cucina ha continuato a svolgere un ruolo fondamentale nella società di Roma. Ne parlano libri fondamentali, come ad esempio il Libro de Arte Coquinaria che riporta le ricette del Maestro Martino, un grande cuoco e gastronomo del XV secolo, tra le quali troviamo, ad esempio, i maccaroni romaneschi e i cavoli alla romanesca, oppure nel ‘700, l’Apicio Moderno di Francesco Leonardi, nel quale troviamo la trippa di manzo alla romana. Fino ad arrivare agli anni ’30 del ‘900, quando Ada Boni scrisse La Cucina Romana, con l’obiettivo di salvare e tramandare le tradizioni le vere tradizioni culinarie romane, liberandole da quegli elementi “estranei” che ne stavano minando la conservazione.
Roma e i romani sono ancora oggi portatori di una tradizione culinaria molto importante e molto antica, che col passare dei secoli ha subito, come ovvio che sia, dei grandi cambiamenti ma che è sempre rimasta legata fondamentalmente a un tipo di cucina popolare, fatta di alimenti di facile reperibilità e di relativamente facile preparazione. Una tradizione che in una giornata come questa non potevamo non ripassare.
Auguri Roma!