A frutta e verdura non si può rinunciare, neanche nello spazio
Oggi si festeggia la Giornata internazionale dei viaggi dell’uomo nello spazio, istituita nel 2011 su iniziativa della Federazione Russa, per omaggiare il volo di Jurij Gagarin, il primo esploratore spaziale.
Da quel 12 aprile del 1961 di passi in avanti se ne sono fatti tanti: abbiamo ‘conquistato’ la Luna, abbiamo ‘sbirciato’ Marte e siamo riusciti a posizionare, intorno al globo terrestre, un insieme di basi e stazioni spaziali dove ricercatori di ogni tipo e nazionalità collaborano per aiutare a comprendere un po’ meglio il nostro pianeta, con un punto di osservazione distaccato ma privilegiato.
Dato che ora possiamo tranquillamente affermare che “c’è vita nello spazio” e sono gli esseri umani ad avercela portata, gli abitanti delle varie stazioni hanno bisogno necessariamente di mangiare. Per mantenere sani e forti gli astronauti, l’alimentazione loro proposta deve essere equilibrata e povera di carboidrati. Grazie ad anni di ricerca condotta da un gruppo di ricercatori di Harvard, la linea guida da seguire è quella di una suddivisione pari al 25% di carboidrati, 25% proteine e il 50% rimanente da suddividere in frutta e verdura.
Ancora una volta risulta quindi fondamentale il ruolo assunto dalla frutta e dalla verdura poiché, contenendo acqua, vitamine, sali minerali, fibre ed elementi fitochimici si rivelano un pasto particolarmente completo, facile da digerire e capace di proteggere diversi apparati del nostro corpo fornendoci allo stesso tempo energia e buon umore.
Il tipo di cibo che viene prodotto per essere portato nello spazio deve, inoltre, rispondere a determinati requisiti, come la leggerezza, la flessibilità e la capacità di essere facilmente stoccabile; allo stesso tempo deve essere anche consistente e appetibile, così da non intaccare il rapporto psicologico tra l’astronauta e il cibo, una relazione che aiuta a mantenere alto l’umore.
Dovendo garantire cibo ed alimentazione ad esseri umani che distano dalla terra migliaia di km, devono obbligatoriamente conservarsi a lungo (in media 24 mesi); proprio per questa capacità di mantenersi nel lungo periodo, il modello di ‘cibo spaziale’ sta tornando utile anche sulla terra perché sempre più amatori della montagna, degli sport estremi o delle lunghe traversate in barca, hanno la possibilità di portare con sé del cibo nutriente e che si deteriora a fatica.
Un’ultima curiosità riguardo agli astronauti e il loro rapporto con il cibo: la loro percezione del gusto è alquanto distorta quando si trovano nello spazio a causa della microgravità che, influendo sul naso e sulla bocca, produce un effetto che rende la percezione del gusto distorta rispetto a quella che si ha sulla terra.
Di agricoltura, cibo e spazio torneremo comunque a parlare presto, in occasione del Workshop Internazionale Joint AgroSpace – MELiSSA “Current and future ways to Closed Life Support Systems”, promosso da AgroSpace e da ESA e realizzato in collaborazione con la Regione Lazio, attraverso Lazio Innova, che si terrà a Roma, presso il CNR, dal 16 al 18 maggio 2018.