IL PRANZO DELLA DOMENICA: Prodotti DOP, IGP e SGT, sigle che nascondono qualità e tradizione
Abbiamo scelto in questa rubrica domenicale di occuparci di alimentazione e tradizione, per questo oggi vorrei parlare dei prodotti DOP, IGP, SGT, etc., che spesso sentiamo nominare e che quasi sempre vengono utilizzate come sinonimi di prodotti di qualità superiore rispetto ad altri. La cosa è sicuramente vera, ma sappiamo con esattezza cosa si intende con queste sigle, al di là del loro significato letterale, e quali sono le differenze tra una e l’altra? Credo sia utile spiegarlo, almeno per quelle principali.
Sebbene la sigla forse più conosciuta sia probabilmente DOC (Denominazione di Origine Controllata), questa dal 2010 non è più in uso per decreto dell’Unione Europea. Oggi questi prodotti vengono indicati come DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) e sono stati comunque ricompresi nella categoria DOP (Denominazione di Origine Protetta) che indica, come si legge nell’articolo 2 del regolamento UE n. 510/2006 “il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata”. Altra sigla molto nota è quella IGP (Indicazione di Origine Protetta), che è la seconda tipologia di sigla condivisa a livello europeo. Indica alimenti e vini tipici di una determinata area geografica e che lì sono prodotti, trasformati e/o elaborati: questo vuol dire che almeno una delle fasi produttive deve avvenire in un’area geografica determinata, ma non necessariamente tutte come invece vale per le DOP. C’è poi il marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita), introdotto dalla Unione Europea per tutelare produzioni che siano caratterizzate da composizioni o metodi di produzione tradizionali, l’IGT (Indicazione Geografica Tipica), per vini da tavola caratterizzati da aree di produzione generalmente ampie e con disciplinare produttivo poco restrittivo, l’ormai inflazionata sigla BIO, che identifica alimenti prodotti con metodi biologici, quindi senza l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica, e tanti altri, forse meno comuni.
Vale la pena, quindi, affidarsi a questo tipo di sigle, se vogliamo utilizzare prodotti tipici e rispettare le nostre tradizioni? La risposta non può che essere affermativa, tanto più se consideriamo che, come riporta il “Rapporto 2017 ISMEA – QUALIVITA sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP, IGP e STG”, l’Italia conserva il primato a livello mondiale con 818 prodotti riconosciuti (su 3.005 totali nel mondo, di cui 4 nel 2017) e guida la classifica con un valore della produzione aumentato, nel 2016, di oltre il +6%. Se negli ultimi due anni, poi, l’agroalimentare italiano ha visto crescere le esportazioni (+3,6% sul 2015 e +10,7% sul 2014), il settore DOP IGP ha ottenuto risultati più netti (+5,8% sul 2015 e +17,7% sul 2014). In totale, nel 2016 il comparto Food delle Indicazioni Geografiche ha superato i 6,6 miliardi di euro di valore alla produzione e 13,6 miliardi di euro di valore al consumo per una crescita di oltre il +3% su base annua.
Questo significa che i nostri prodotti sono i più apprezzati in tutto il mondo e che, quindi, non possiamo essere certo noi a tradire la nostra storia e le nostre tradizioni.