Pensare… anche scegliendo un ristorante

Published by Fabio Massimo Pallottini on

Nelle grandi città italiane stiamo assistendo, ormai da qualche tempo, alla progressiva scomparsa della ristorazione tradizionale, quella cucina di una volta a conduzione familiare e trasmessa di generazione in generazione. Si aprono le porte alle grandi catene, ai fast food, a locali in franchising che propongono menu omologati.

Al di là delle considerazioni economiche che possono scaturire dall’analisi di questo cambiamento un altro spunto interessante che possiamo trarne è quello più strettamente “alimentare” e quindi salutistico.

I ristoranti tradizionali, quelli che propongono la cucina locale più genuina, che si tratti di Roma, Napoli, Torino o qualsiasi altra città italiana, hanno sempre avuto come punto di forza quello della qualità del cibo. Qualità garantita anche dal fatto che i proprietari coltivano la passione per il proprio lavoro ed un rapporto più diretto con la clientela. Il loro investimento va nella ricerca di prodotti buoni, freschi e di sicura provenienza. Per questo preferiscono affidarsi ad una filiera diretta, con materie prime acquistate dai produttori di fiducia dove spesso amano recarsi personalmente.

Nel corso degli anni e nella maggior parte dei casi la conduzione passa alla progenie che nel frattempo, senza bisogno di frequentare scuole blasonate, ha imparato a stare in cucina.

Oggi forse è proprio questo l’elemento che sta un po’ venendo meno: le nuove generazioni sono state abituate ad un tipo di economia e di pensiero diversi, più improntati al risultato economico che qualitativo. In più si trovano la concorrenza di colossi nazionali o addirittura internazionali con i quali è difficile competere. Ancora peggio se sono chiamati a confrontarsi con locali che pur di abbassare i prezzi ed attirare clientela sacrificano senza troppa pena la qualità dei propri prodotti, proponendo menu a portate multiple (basta un surgelatore ed un microonde ed il vostro precotto è servito).

Necessità fa virtù. Un tramezzino o una zuppa surgelata non uccidono di certo. Quello che invece uccide è, per la ristorazione tradizionale, cedere a questo meccanismo e combattere il proprio “nemico” con le sue stesse armi.

Cosa si può fare per invertire questa tendenza? Da semplici fruitori, quando si può e si ha tempo, tornare a scegliere con cura i posti in cui andare mangiare, puntando innanzitutto sulla qualità. Investire qualche euro in più per sostenere chi ancora crede nella bontà di un’autentica “cacio e pepe” equivale a prendersi cura così non soltanto dello stomaco, ma di se stessi.

Categories: AgriCultura

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