Pensare… anche scegliendo un ristorante
Nelle grandi città italiane stiamo assistendo, ormai da qualche tempo, alla progressiva scomparsa della ristorazione tradizionale, quella cucina di una volta a conduzione familiare e trasmessa di generazione in generazione. Si aprono le porte alle grandi catene, ai fast food, a locali in franchising che propongono menu omologati.
Al di là delle considerazioni economiche che possono scaturire dall’analisi di questo cambiamento un altro spunto interessante che possiamo trarne è quello più strettamente “alimentare” e quindi salutistico.
I ristoranti tradizionali, quelli che propongono la cucina locale più genuina, che si tratti di Roma, Napoli, Torino o qualsiasi altra città italiana, hanno sempre avuto come punto di forza quello della qualità del cibo. Qualità garantita anche dal fatto che i proprietari coltivano la passione per il proprio lavoro ed un rapporto più diretto con la clientela. Il loro investimento va nella ricerca di prodotti buoni, freschi e di sicura provenienza. Per questo preferiscono affidarsi ad una filiera diretta, con materie prime acquistate dai produttori di fiducia dove spesso amano recarsi personalmente.
Nel corso degli anni e nella maggior parte dei casi la conduzione passa alla progenie che nel frattempo, senza bisogno di frequentare scuole blasonate, ha imparato a stare in cucina.
Oggi forse è proprio questo l’elemento che sta un po’ venendo meno: le nuove generazioni sono state abituate ad un tipo di economia e di pensiero diversi, più improntati al risultato economico che qualitativo. In più si trovano la concorrenza di colossi nazionali o addirittura internazionali con i quali è difficile competere. Ancora peggio se sono chiamati a confrontarsi con locali che pur di abbassare i prezzi ed attirare clientela sacrificano senza troppa pena la qualità dei propri prodotti, proponendo menu a portate multiple (basta un surgelatore ed un microonde ed il vostro precotto è servito).
Necessità fa virtù. Un tramezzino o una zuppa surgelata non uccidono di certo. Quello che invece uccide è, per la ristorazione tradizionale, cedere a questo meccanismo e combattere il proprio “nemico” con le sue stesse armi.
Cosa si può fare per invertire questa tendenza? Da semplici fruitori, quando si può e si ha tempo, tornare a scegliere con cura i posti in cui andare mangiare, puntando innanzitutto sulla qualità. Investire qualche euro in più per sostenere chi ancora crede nella bontà di un’autentica “cacio e pepe” equivale a prendersi cura così non soltanto dello stomaco, ma di se stessi.