L’invasione della ristorazione, veloce e non. È un bene?
Qualche giorno fa sono tornato in una zona di Roma che in passato ho frequentato spesso per motivi di lavoro e mi sono reso conto che il tessuto commerciale era completamente cambiato. Mi ricordavo la copisteria, il negozio di abbigliamento, la concessionaria di auto, il negozio di scarpe. Ora non c’è più nulla di tutto questo e quando dico nulla intendo veramente nulla.
Ho trovato invece una serie di locali moderni o modernamente ristrutturati tutti più o meno orientati ad offrire cibo. Cibo cotto, preparato, da consumare sul posto, da portare via, cibo da strada o ristorazione tradizionale ma declinata in chiave moderna. Insomma, una vera e propria “abbuffata” collettiva. E ho ripensato ad un divertente articolo di Caterina Serra sull’Espresso di qualche settimana fa, intitolato in forma ironica “Food and the city”.
La Serra raccontava appunto di questa invasione che caratterizza il centro e non solo delle principali capitali europee, dove al posto di un cinema, di un asilo, di una fabbrica, di un artigiano, di un teatro, trovi ormai solo un enorme spaccio di alimenti, spesso ben presentati ma frequentemente di qualità modesta.
È lo spirito del tempo! Così dicono i più, e sicuramente sarà così, ma mi chiedo se tutta questa grande diffusione di luoghi per mangiare stia effettivamente migliorando la qualità della nostra vita (più occasioni di socialità? Oppure più take – away e consumo solitario davanti alla tv?), e soprattutto se sta migliorando la qualità di quello che mangiamo e l’accesso stesso al cibo.
La mia impressone è che cambiano i modelli di consumo ma i nuovi non rappresentano un miglioramento. Questo vedo dal mio osservatorio ma sono pronto a ricredermi.